Ho partecipato all’incontro di NOI HUNTINGTON in un banalissimo primo sabato di marzo a Roma e, inaspettatamente, mi sono trovato in un gruppo di piccoli eroi. Il mito di Ulisse (prototipo degli eroi) racconta un viaggio tra pericoli, divinità avverse ed il coraggio del protagonista che non si arrende, ma trasforma le sfortune in opportunità per mettere alla prova la sua astuzia (che lo fa vincere) con lo scopo di estinguere la sua nostalgia di casa. Assomiglia veramente a ciascuno dei membri del gruppo. Tutti hanno affrontato i timori, le preoccupazioni e un pessimo tempo meteorologico (tra freddo e tempeste di neve) con determinazione per giungere in quell’appartamento. Pure Ulisse dopo tutte le sue peripezie e venti anni passati ad attraversare il mare giunge finalmente a casa sua. Agli occhi dei suoi cari era irriconoscibile e cencioso, ma la nutrice guardando la sua cicatrice si rende conto con certezza che è proprio lui. Che le cicatrici siano un segno indelebile e insostituibile della maturazione della personalità avvenuta sotto il torchio della sofferenza è stato capito anche da un altro mito contemporaneo, Harry Potter e la sua a forma di saetta. Queste tracce marcano in quell’individuo la presenza di una volontà che resiste alla tragedia (che è la carta d’identità degli eroi). Tutti, NOI, membri del gruppo avevano cicatrici causate dalla Malattia di Huntington, che colpisce gli affetti, l’autostima e la salute (fisica e mentale) di chi si trova ad affrontarla. Come veri eroi del XXI secolo, tuttavia, non eravamo disposti a piangere sul latte versato, invece siamo stati determinati ad affrontare con astuzia il pericolo fino a metterlo sotto scacco. Ulisse aveva i suoi compagni di viaggio, Harry Potter i suoi amici, una rete con cui sono riusciti nella loro impresa epica, indice del fatto che la solitudine rende gli eroi più vulnerabili alle difficoltà. Anche per NOI, il progetto, per essere forte, deve realizzare una rete tra i giovani che vi partecipano e coinvolgere i ragazzi toccati in qualsiasi modo da questa malattia, perché l’unione fa la forza. Sommare insieme le nostre capacità, le nostre idee, le nostre storie.

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